Beatrice Vannoni: “L’esercizio deve rapire chi lo guarda”

In questi giorni di vacanza per molti e di duro lavoro per le atlete del collegiale a Brescia abbiamo contattato Beatrice Vannoni (allenatrice della Mens Sana Siena) per parlare di come nasce un esercizio di “corpo libero”. Ringraziandola di cuore, ecco cosa ci ha raccontato:

I miei esercizi a corpo libero nascono da una “sensazione”, da un’emozione che vorrei trasmettere, far arrivare, far vivere a tutti quelli che si ritrovano, anche distrattamente o per caso, a gettare lo sguardo su quel quadrato magico.

“L’esercizio deve rapire chi lo guarda”.La ginnasta è la protagonista. Ognuna è unica, ognuna ha le proprie peculiarità fisiche, ognuna il suo carattere. Il mio scopo è quello di costruire l’esercizio valorizzandone le doti (le ampiezze, la flessibilità), ma soprattutto l’espressività, che considero “l’anima” dell’esercizio: si ottiene ciò, solo se riusciamo a cogliere e far emergere quello che ha dentro, il potenziale inespresso che spesso lei per prima ignora di avere.

Non mi reputo una “coreografa”, non potrei mai realizzare esercizi su commissione, indistintamente. Devo conoscere bene la ginnasta, sapere cosa lei può esprimere, e soprattutto sentire la sua fiducia nei miei confronti, sentire che posso proporle ciò che voglio, farle vincere l’imbarazzo e la paura, farla sentire libera di muoversi e di provare emozioni.

Poi la scelta della musica, contrappunto ai movimenti in pedana. Una sinergia difficile da affinare, ma inconfondibile quando la si raggiunge: un “brivido”, questo è il segno che la soluzione è quella giusta. Così inizio ad improvvisare collegamenti, salti artistici e calcolare gli spazi utili per l’esecuzione delle diagonali acrobatiche, immedesimandomi nella ginnasta che le dovrà eseguire.

Altra tappa del lavoro, sono i “tagli” della musica, inserimenti di altri brani; mettere in contrapposizione tempi e momenti forti e ritmati con altri lenti e melodiosi. Infine uno studio mirato al finale che deve rafforzare e dare importanza a tutto l’esercizio, come se la ginnasta nelle sue due ultime note finali, battesse il pugno sul tavolo e dicesse: “Questa sono io, e vi ho dato l’anima”.

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Per gli esercizi di Giulia Leni, (sua ginnasta alla Mens Sana, società alla quale è ancora tesserata) così esplosiva e solare, ma anche sensibile e romantica, mi sono sempre piaciute musiche scattanti ed incalzanti, ma allo stesso tempo eleganti ed armoniose, quelle per intenderci dalla partenza spontanea della battuta delle mani del pubblico presente. Il coinvolgimento è l’emozione più forte che vivo, anche al di là della perfetta esecuzione tecnica. Amo le ginnaste che riescono ad emozionarmi, anche al di là della spettacolarità acrobatica ed artistica.

Poi arriviamo alla scelta dei collegamenti coreografici che spesso nascono istintivamente, ascoltando, interpretando e vivendo la musica: gli accenti forti abbinati a movimenti scattanti e decisi, le note lunghe con movimenti lenti che non finiscono mai, le pause con le intense sospensioni..

Questo è un lavoro lungo e noioso per la ginnasta (perlomeno per quelle che hanno la sventura di capitare tra le mie “grinfie”!) perché fino a che non vedo il collegamento eseguito come io lo sento, continuo ad insistere e a cambiarlo e così per tutti i 90 secondi. Spesso a casa, la notte, in qualsiasi momento della giornata, mi vengono in mente altri passaggi dettati da diverse sensazioni e così il giorno dopo, in palestra, lo modifico, mandando in tilt la rassegnata e paziente malcapitata.

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Quando mi trovo sul quadrato della pedana con la ginnasta perdo ogni cognizione di tempo, esistiamo solo io e lei e la nostra creazione. Ed è bellissima la consapevolezza che la prima a stupirsi del proprio esercizio sarà proprio la ginnasta: vedere la sua meraviglia al termine dell’esecuzione, quando comincia ad avvertire quella sicurezza necessaria a “sentirselo suo”, a mettere in pratica ciò che ha dentro, ad amarlo fino a renderlo perfetto.

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